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Arkeon, la Roma e Lazio-Inter

Negli ultimi giorni è successo un fatto istruttivo, almeno per me: si tratta della partita di campionato tra Lazio ed Inter, e soprattutto della polemica che è seguita.

Subito dopo la partita, per chi l’ha seguita in viaggio come me, alla radio, i commenti sono stati pacati. La Lazio forse poteva fare di più, ma era evidente che mancasse la motivazione. Mancava certamente la motivazione ai tifosi, si diceva, anche dopo i recenti atteggiamenti di Francesco Totti.

Sempre alla radio, solo la mattina dopo, ho sentito montare la polemica. L’atmosfera, dopo una notte che avrebbe dovuto portare consiglio, era cambiata: era diventato uno scandalo, la Lazio non ci aveva neppure provato, ecc.. Strano però che in trasmissione fosse invitato solo un rappresentante della Roma. Nessuno dell’Inter o della Lazio.

I giornali online (ho monitorato il Corriere) poi hanno rilanciato solo le dichiarazioni (o quasi) a favore dello scandalo. Solo Moratti è riuscito a parlare.

Ma dite che non c’era nessuno che voleva ribattere? Ne dubito.

Solo in serata, del giorno dopo, il presidente della Lazio, Lotito, è riuscito a farsi ascoltare. Ha dovuto ritirare fuori una notizia di giorni prima, addirittura una minaccia d morte, perché la sua replica ci fosse e non parlasse solo la Roma.

Alla fine, a quanto mi riferiscono, montato lo scandalo, con l’intervento di vari polemisti di mestiere, la Roma ha avuto l’inchiesta.

Si dirà: è l’opinione pubblica.

Falso. Mi sono letto i commenti sul sito del Corriere e la stragrande maggioranza era di posizione opposta a quella espressa dai media. Cioè pensava che non ci fosse nessuno scandalo, nessun bisogno di fare un’inchiesta.

Si dirà che sono i giornalisti a voler montare le polemiche. Non ci credo più.

I giornalisti e gli esperti si sono accodati a quello che gli veniva chiesto, e non hanno fatto il loro mestiere. Ma sicuramente, invece, qualcuno del mestiere (PR?) sarà riuscito ad ottenere che vi fosse un solo ospite della Roma in radio. Qualcuno avrà parlato, agitato, telefonato: avrà i canali giusti per fare uscire gli articoli giusti. Naturalmente i giornalisti non si preoccupano di assicurare il diritto di replica.

Evidentemente la Roma ha le risorse economiche e i contatti giusti (per carità non fa nulla di illegale). La Lazio meno. Ma qualcuno, almeno, ha consigliato a Lotito di sparare grosso e gli ha permesso, attraverso vari contatti, di far uscire la sua replica. Intanto l’inchiesta però era partita. Ma senza almeno la forza della replica la cosa sarebbe stata molto peggiore, la Lazio avrebbe rischiato chissà cosa, squalifiche e quant’altro, specie se non fosse in grado di permettersi avvocati di livello sufficiente.

Ipotizzo che ci sia un altro Moggi? Non lo so. Dico solo che la mancanza di etica professionale dei giornalisti e la tendenza a seguire i trend suggeriti si combinano con le abilità di certi professionisti.

Cosa c’entra Arkeon? C’entra perché il meccanismo è lo stesso. Il giornalismo non esiste e segue solo quello che gli viene suggerito, senza neanche la decenza del diritto di replica. Poi ci sono i gruppi di interesse (come la Roma), le “vittime”, i contatti e le risorse per creare il caso. Poi seguono i media.

Benvenuti in Italia, AD 2010.

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1 aprile all’inverso per Arkeon: una proposta per i media

Con l’approssimarsi del primo Aprile, festa in cui tradizionalmente si raccontano stupidaggini assurde, cose non vere, vorrei lanciare una proposta diversa ai media. Premetto che i media, per me, hanno da anni fatto “primo Aprile” per 365 giorni all’anno a spese di Arkeon, raccontando quanto  sono un sacco di assurdità, non verità, facendo scandalismo per nulla connesso con la realtà.

Ecco la proposta: perché non fare un primo Aprile all’inverso quest’anno e raccontare un po’(almeno un po’) di verità su Arkeon l’1/4/2010?

Sarebbe bello che aderissero anche alcuni rappresentanti del movimento anti-sette…….

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“Setta” Arkeon, presi in giro milioni di italiani

Nei prossimi giorni, c’è un evento importante nella vicenda giudiziaria di Arkeon. Non ho molta fiducia.

In questa storia, infatti, sono stati presi in giro milioni di italiani da media sempre pronti allo scandalismo senza etica e professionalità, da associazioni con coperture di vario tipo ma nessuna (a mio giudizio) reale preparazione scientifica ed etica, da individui (pochissimi) che hanno scritto storie non vere o mistificate per vendette personali e, lo dico con il massimo dispiacere, da altri che, in questo paese, dovrebbero avere come primo obiettivo l’accertamento della verità. Sono mie idee, però basate su quanto letto e vissuto personalmente negli anni.

A milioni di italiani è stato fatto credere che Arkeon fosse una setta, cosa non vera, ed è difficile trovare una sola cosa vera tra quanto riportato da media e cosidetti esperti (che si fanno scudo dello più insidiosia pseudoscienza per proporre, oltre a pseudofatti, pseudoteorie). Si è costruita una storia di impatto mediatico che non ha riscontro nella realtà, forse per regolare certi conti (come ha scritto qualcuno).

Penso piuttosto sia la pochezza di questo paese, e la facilità con cui il ripetere “sono un esperto” o “sono una vittima” (peraltro spesso dalla stessa persona a tempi alterni) alla fine venga creduto.

Ho conosciuto Arkeon,e so cos’era; e se c’è stato qualche errore, è stato isolato. Ormai lo hanno scritto in decine di persone su Internet, a volte con accenni critici, ma smentendo la versione di forse cinque persone che tapezzano la rete delle stesse cose ripetute ossessivamente. I loro racconti possono appassionare chi è alla ricerca della setta di cui spaventarsi o del fatto di cui scandalizzarsi: ma non trovano corrispondenza nei fatti (e parlo per esperienza).

Ma in un paese come il nostro, cinque persone con gli appoggi giusti, con l’espertismo e il vittimismo giusto, fanno in fretta a mettere nel sacco milioni di italiani.

Perché, con quanto è stato raccontato dai media, Arkeon non c’entra nulla e la verità è stata avvolta nella nebbia di cose non vere.

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Nel nome del padre (anzi, della madre, o di tutti e due, o di chi vuole il Parlamento)

Se la paternità ha un senso

Avevo già letto la proposta di introdurre il cognome della madre, come complementare o alternativo a quello del padre. Fioridiarancio, con il suo post, mi ha preceduto e mi ha ricordato come le èlite, convinte di riconoscere il progresso, lo impongono (o tentano di imporlo) con la forza ai poveri mentecatti che non la pensano come loro (e avendo il controllo dei libri di storia va spesso a finire che imporre il progresso a foza va bene, se è nella direzione politicamente corretta).

So che è un discorso più complesso, ma resto senza parole. Dice la Bungiorno, secondo Fioridiarancio: “se non si introduce l’obbligo, la consuetudine non si scardina”. E chi le dice che bisogna scardinarla? E se anche con lei fossero la maggioranza degli italiani, quale mandato divino le permette di imporla a chi la pensa diverso?

Ma della dittatura di certe minoranze, e della oppressione di chi non canta nel coro, ne ho già parlato, e ne parlerò ancora: si ripropone naturalmente in un paese come il nostro.

Invece mi interessa parlare della “regola che impone ai figli il nome del padre” (veramente i figli poi possono cambiare cognome se credono; mi sembra si parli piuttosto di un movimento che vuole imporre ai figli il nome della madre).

Dico subito che difendo la regola attuale.

C’è un motivo istintivo. Da quasi mille anni, i nomi procedono in questo modo. E’una caratteristica sociale italiana, che non danneggia nessuno, semmai urta solo certe sensibilità di minoranza. Sono contrario ad abbandonare tradizioni che non si dimostrano palesemente cattive, anche se non le capiamo fino in fondo. La regola del cognome è una delle cose che abbiamo in comune con i nostri avi, e che ci distingue dagli altri popoli.

Cambiarla perché fare ingegneria sociale è politicamente più semplice che affrontare i nodi del paese mi sembra un’idea sciocca quanto imporre agli italiani di fare colazione con le salsicce (e poi si scopre che la nostra tradizione era meglio di quella altrui).

Ma questo non basta. Ne abbiamo parlato in famiglia e mi sono visto sfidato a spiegare semplicemente perché – ora e sempre come serve ai più piccoli – credo che sia giusto dare ai figli il cognome del padre. Il motivo è, ho detto, che, mentre la madre nutre ed è presente con il suo affetto anche più del padre i figli, il padre accompagna i figli nel mondo. E’lui che li protegge, li introduce e li accompagna nel mondo fuori di casa, soprattutto quando iniziano a diventare grandi. Ed è all’ombra del cognome del padre, del rispetto per quel cognome che il padre, e il nonno, hanno costruito, che il figlio e la figlia crescono.

Questa tradizione, come già dicevo, ci accomuna a padri, nonni, bisnonni, trisavoli e così via. Per un tempo immemorabile, il cognome che porto – ed è ora anche dei figli – ha dato un’identità di generazione in generazione, identità che si può mutare ma che ci lega come un filo alle origini, che ci radica ad una storia e ci congiunge alle sfide, alle gioie e alle difficoltà del passato, che per molti versi sono anche quelle del futuro. Lo stesso vale per tutti, anche quando questa storia è passata per un’adozione e quindi per una storia diversa.

Nella nostra civiltà le radici e la memoria delle generazioni sono patriarcali. Ho avuto modo di constatare, ed è questo purtroppo che manca nei dibattiti intellettuali dei giornali, come l’identità di uomo e di padre, come di donna e di madre, non siano accidenti o elementi superficiali, sostituibili, ma segni profondissimi del nostro essere, il cui stravolgimento causa infelicità.

Credo anche che ci sia un grosso equivoco nel ruolo di uomo e di donna, in una guerra che è spesso emotivamente e verbalmente violenta nella nostra società. L’equivoco è, secondo me, l’uomo che – nel passato  ma anche nel presente – se la gode alle spalle della donna, da cui un triste sentimento di rivincita.

Sarà sicuramente accaduto e magari accade. Ma, per tanti, ne sono certo, quello di essere uomo, o di essere donna, è stato semplicemente il sentimento di se stessi e la spinta a realizzare quanto si è, quasi il dovere, anche con tutti i sacrifici del caso, in un’alleanza tra diversi, ma pari.

Non partorisco, nè allatto. Difendo invece lo spazio in cui mia moglie può farlo. E do il cognome di mio padre ai miei figli e alle mie figlie, per accompagnare i figli ad un analogo destino (diversissimo nelle forme che potranno scegliere, ma analogo nell’essere uomo e padre) e le figlie verso un uomo che le saprà amare ed onorare.

Per me è un filo logico, che viene meno solo quando rinuncio a difendere lo spazio e la famiglia. Allora crolla il senso di questo, ma, anche se socialmente questo accade perché molti padri rinunciano al proprio ruolo, ritengo che sia meglio per i figli avere, nel proprio cognome, la memoria di come dovrebbero funzionare le cose.

So che tanti dissentono. Parliamone volentieri. Ma che si debba imporre a me – ovviamente mentecatto perché non sono d’accordo – il progresso di chi sa tutto, proprio non mi va giù.

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Il dovere dell’ascolto e gli abusi veri e falsi

Da parte di un cristiano, ma anche da parte dell’uomo laico, penso ci debba essere una disponibilità di ascolto anche nei confronti di chi ha sbagliato. Credo che questo ascolto sia ben esemplificato, e sperimentato da chi la amministra, nella confessione.

Per molti di noi, penso che un passo iniziale possa essere il continuare a considerare essere umani anche coloro che si sono macchiati di crimini. In alcuni casi mi sembra impossibile, in altri casi non è tanto difficile fare uno sforzo, in altri è semplice e riusciamo quasi a simpatizzare per la vita disgraziata che ha portato a certi esiti.

Ma, prima di questo, credo ci sia uno sforzo – almeno per me -non meno faticoso. E’quello di prendere in considerazione la possibilità dell’innocenza, o, anzi, molto meno, essere disposti a capire i fatti, ad ascoltare l’altra versione della storia.

Grazie a Pietro Bono seguo occasionalmente alcuni siti (i link dal suo blog), che, in maniera più o meno completa, ma spesso convincente, seguono il fenomeno dei falsi abusi.

Si tratta di un tema talmente sconvolgente, a cominciare dalle accuse, che la tentazione di guardare dall’altra parte è fortissima. Mi domando se magari non aiuteranno anche solo involontariamente dei criminali. Il desiderio più forte è quello di non sapere, di non entrare in un campo melmoso, difficile, senza santi né eroi (salvo i bambini), dove le vittime e i carnefici non si capisce spesso (e soprattutto a priori) da che parte stanno (salvo di nuovo i bambini).

Sento palpabile la paura di credere ad una versione dei fatti, contraria a quella dei media e a volta anche dei tribunali, per poi scoprire di essersi schierati colpevolmente male. Sento il peso di scoprire -almeno potenzialmente – quanto è poco rassicurante la nostra società, a volte proprio nelle istituzioni che la sicurezza degli innocenti dovrebbero garantire.

Trovo convincenti molte argomentazioni di quei tre siti (assurdo il ruolo di vari “consulenti”), ma non è quello che mi interessa. Riconosco piuttosto il dovere – non su tutto, ma almeno su una piccola parte – di ascoltare (leggere) e cercare di capire. Avevo avuto la stessa sensazione davanti ad un post di Terry sull’aborto: non voglio sapere, è troppo orribile, prima ancora di sapere se è vero o no.

Non credo che ci si possa fare carico di tutto, ma un po’sì: perché ci sono voci che chiedono giustizia. Quella umana la possono trovare solo se le persone di buona volontà le ascoltarno.

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Caso Arkeon: i fatti che i media non hanno riportato

Con un po’di ritardo, riesco a dare notizia di un sito (sotto forma di blog) che finalmente riesce a dare conto con una certa sistematicità del caso Arkeon. Il sito si chiama il caso Arkeon. Lo segnalo a tutte le persone interessate a capire qualcosa di più di questa incredibile vicenda mediatico-giudiziaria.

Rispetto all’immagine sopra, “Inconvenient truth” significa “verità scomoda” e “Reassuring lie” significa “menzogna rassicurante”.

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Infestante e da non divulgare quello che non è politically correct

Ho seguito con un certo interesse le ultime battute della discussione sul blog di Claudio Risè a proposito della canzone “Luca era gay”. Sarei intervenuto, dopo gli interventi di Luigi D’Elia (coautore di un articolo con Piera Serra e Lorita Tinelli sulla canzone, che ho già avuto modo di criticare), ma Pietro Bono e Armando hanno messo bene in luce i limiti del suo intervento, anche se ovviamente molto altro vi sarebbe da dire.

Alcune parole però del commento di D’Elia mi hanno fatto rizzare i capelli: “smarcamento da precedenti e vetuste visioni colpevolistiche, deterministiche, medicalistiche, moralistiche, nell’orientamento sessuale “. Nell’articolo originale, la frase era più complessa “le teorie sulla psicopatogenesi familiare dell’omosessualità che alcune scuole di psicologia hanno in passato coniato e che, come comunità scientifica, abbiamo consentito per alcuni decenni venissero divulgate infestando la cultura, contribuendo al pregiudizio negativo nei confronti di gay e lesbiche, screditando le loro madri e i loro padri”.

C’è un primo livello di lettura. Questo livello di lettura fa riflettere perché dopo la canzone di Povia mi sono fatto un giretto e ho trovato, per esempio, che l’Associazione dei Medici Cattolici americani ha proprio la posizione che avrebbe” infestato” la cultura. Non mi sembra da questa e altre letture che la teoria della genesi familiare dell’omosessualità sia poi così screditata ed abbandonata, visto che affonda le sue radici nella psicanalisi (ma avevo già capito che questi psicologi con la psicanalisi, con l’inconscio, con Freud e Jung non vanno per niente d’accordo). Dunque, mi colpisce che si fa passare, anche questa volta, per “pensiero unico” qualcosa che pensiero unico non è per niente (sempre a danno di posizione cattoliche, s’intende).

Ma quello che mi fa rizzare veramente i capelli è questo: “abbiamo consentito…che venissero divulgate“. Cioè queste teorie non dovevano e non devono neanche essere divulgate (bruciando i testi esistenti, immagino), in quanto vetuste ora e, se non dovevano essere neppure divulgate, evidentemente sbagliate fin dall’inizio (perché non è dato capire).

Perché ho questa preoccupazione? Perché Lorita Tinelli ha già chiarito che lo psicologo che propone terapie con “riferimenti teorici inesistenti o poco plausibili rispetto a teorie psicologiche, assente o insufficiente documentazione della loro utilità ed efficacia” (tralasciando ovviamente che la documentazione di tanti approcci che vanno per la maggiore, a quanto leggo, non ci sono) è un ciarlatano iscritto all’ordine e fa psicoterapia folle. I luoghi dove si fa psicoterapia folle sono psicosette. Il rogo mediatico e il tribunale sembrano già pronti.

Prenderei queste cose alla leggera, se non avessi vissuto la storia di Arkeon,. Per questo, non prendo il bollare certe teorie dell’omosessualità come “vetuste”, “infestanti” e “non divulgabili” come fare opinione alla moda. Mi suonano come accertamenti di pensiero eretico, che è il primo passo verso l’iter che noi di Arkeon abbiamo conosciuto così bene. Fa bene Armando a parlare di anticamera di totalitarismo, perché il prossimo passo è la censura a Povia (poco male, se vogliamo) e l’intervento contro chi pretende di avere, a ragione o torto, una visione diversa dell’omosessualità e della sua genesi.

Ma, ed è quello che mi preoccupa di più, sembra esserci un attacco frontale alla ricerca psicologica, o interiore, che cerca le radici del presente nel passato, nella famiglia, solo perché – pare – questo può portare alla colpevolizzazione dei genitori. E questa sembra una grossa limitazione.

Che diventa ancora più inquietante quando si mette in discussione persino la divulgazione delle teorie che non paiono politically correct.

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Vuoi fare il giornalista? Vola via…

E’da un po’che rifletto sul giornalismo, e da questa riflessione è venuto fuori l’ultimo post. Pensavo che, se i figli mi manifestassero l’intenzione di fare quel mestiere, gli direi come minimo di dare per scontato di andare a lavorare all’estero (sperando in bene).

Grazie al blog di Alessandro, a questo proposito, ho scoperto poco fa un’intervista a Giampaolo Pansa su sussidiario.net, che parla (bene) del giornalismo nostrano, rispetto al Papa, ma non solo. Ne segnalo però qui tre stralci interessanti ( i grassetti sono miei):

Intervistatore: Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?

Pansa: Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa. Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.

poi:

“Interivstatore: Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?

Pansa: Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento. Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia.”

e ancora più sotto:

“Intervistatore: Alzano [i giornali]  il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?

Pansa: C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.”

L’intervista completa vale la pena di leggerla, ma trovo molti interessanti gli spunti, e triste la conclusione. Soprattutto se il Superman giornalistico dell’opinione pubblica è il Gabibbo di Striscia la Notizia.

Forse l’estero è meglio.

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Io dico basta

Nelle ultime ore, il noto psicologo Claudio Risé ha reso nel suo blog alcune affermazioni su Arkeon (alcune delle quali peraltro non condivido):

Conosco il gruppo Arkeon perché molti pazienti me ne hanno parlato. Più che una setta mi pare uno dei tanti “franchising” similpsicologici di successo presenti nella “terra di nessuno” degli incontri di gruppo. Il suo fondatore aveva ben intuto che gran parte dei malesseri attuali nascono dall’assenza del padre, e su quello ha fatto crescere la sua iniziativa. Personalmente, non mi risulta che fossero particolamente fissati sull’omosessualità, né che abusassero di minori. Comunque, se Luca voleva uscire dalla situazione in cui era, e Arkeon l’ha aiutato, meglio così. Speriamo piuttosto che arrivi presto il processo, perché non si può mettere in galera, le persone per anni, e linciarle a colpi di scoop con testimoni che parlano incappucciati: fa venire i brividi, è roba da Ku Klux Klan, altro che libertà d’informazione. In tutta questa storia, ed anche nel suo messaggio, circola una spiacevole aria di caccia alle streghe. Che il movimento degli omosessuali, persone cacciate per secoli, si riduca a questo, mi dispiace.

…confermando che Arkeon tutto era fuorché una setta, non tutti i gruppi che vi appartenevano erano di alto livello, e non mi pare che i criteri formativi fossero proprio trasparenti. Peccato perché le intuizioni di partenza (che oltretutto hanno fatto ampio riferimento ai miei libri), erano molto efficaci. Spero comunque che la cosa si risolva positivamente per chi vi ha messo forze ed energie.

Ancora piena solidarietà contro ogni rogo mediatico, autentica peste, fisica e morale, del nostro tempo. Cerchiamo di difendere le libertà residue!

Gli interventi sono consultabili nel loro contesto originale.

Tra esperti e figure di spicco che si sono espressi pubblicamente su Arkeon, si può ricordare Padre Raniero Cantalamessa, che parlò di “caccia alle streghe” su “Striscia La Notizia”. Padre Raniero è diventato, mediante il suo tenuo legame con Arkeon (che era però anche conoscenza diretta di alcune persone), bersaglio dei peggiori attacchi da parte della stampa e, a più riprese, della televisione (più recentemente, dopo oltre due anni, il 24 febbraio da parte di Striscia La Notizia). Chi ce l’ha con Arkeon ha la memoria lunga, evidentemente.

Raffaella Di Marzio, che è una delle principali esperte italiana di sette, soprattutto di ambito critico (legata all’internazionale ICSA), ha avanzato dei dubbi sul fatto che Arkeon fosse una setta e si è permessa di iniziare uno studio in materia. A quanto pare, è stata denunciata da una collega alla magistratura, si è vista il sito oscurato per mesi e, a quanto risulta, è ancora oggetto di indagine penale per avere incontrato persone che avevano fatto parte di Arkeon. Evidentemente quello studio “non si doveva fare”.

Martini (uno pseudonimo usato dal curatore del famoso sito contro Scientology, Allarme Scientology) ha osato esprimere solidarità a Raffaella di Marzio in quell’occasione, con parole peraltro molto critiche verso Arkeon (di cui allora non sapeva nulla). Immediatamente è stata denunciata alla magistratura dagli anti-Arkeon per aver solidarizzato con la Di Marzio; contro Martini, è iniziata una campagna di maldicenza che è culminata in un clamoroso sciopero del sito Allarme Scientology.

Massimo Introvigne, uno dei massimi esperti al mondo di nuove religioni, ha chiarito che in realtà di Arkeon si sa poco o nulla (“Arkeon started as a Reiki group but later became both close to the Roman Catholic Church and controversial in gay circles for its willingness to deal with homosexuality as a condition that some can (and did) eventually overcome. Branded as a quintessential “cult” by some media and anti-cult activists, it had its share of legal problems. Arkeon’s ideas are quite complicate, and we at CESNUR do not claim to have a clear picture of them“) e, pur avendo osato esprimere solidarietà a Raffaella Di Marzio, è uno dei pochi, insieme alla Società Italiana di Psicologia delle Religioni, a non aver patito conseguenze.

Anche il Prof. Mario Aletti, pur non citando esplicitamente Arkeon, ha scritto un articolo molto rilevante e, certamente riferito alla vicenda.

Ora, come in ogni luogo in cui si è aperto un dibattito su Arkeon, è iniziata la solita sequela delle “vittime” anche sul blog di Risé. Tra le stupidaggini comparse, ne prendo a caso tre:

– “Subire insulti quotiani, molestie e molte altre cose. Perchè volete zittirci con false e tendenziose notizie che mettete in rete? Perchè non dite la verità alle persone che contattate?”

Questa è interessante perché rivela un metodo di interesse culturale più ampio. Tu mi meni, io grido “mi hai menato”, tu gridi più forte “tu mi hai menato!”. Ma siccome tu lo ripeti più spesso, con più connessioni con i media, e siccome tu hai fatto passare a tutti il messaggio che io sono un figlio di nessuno, sono io che ho menato. Con la certezza che il 99% delle persone crede a chi è maestro a farsi vittima.

“Le persone che qui scrivono pro arkeon sono molto vicine ai vertici o ex maestri.”

Che, oltre ad essere nel complesso una delle solite balle, è da imparare per utilizzare all’occorrenza. Perché se qualcuno interviene contro di voi e dice “no, io ho frequentato poche volte”, la risposta è pronta “allora non potevi sapere tutta la verità”. In ogni caso, l’interlocutore è deligittimato

“Ricordiamoci che diversi padri non parlano più con figli seguaci di arkeon”

a prescindere dal fatto che Arkeon non esiste più, mi sembra interessante capire perché alcuni padri possono essersi comportati così. Nella mia esperienza, in rarissimi casi, quando un figlio chiedeva al proprio padre, dopo anni di distanza, di passare un po’di tempo insieme, o addirittura di venire al seminario per eventualmente dare la benedizione paterna, alcune madri se la prendevano di brutto, pensando, erroneamente, che il ritorno del padre le sminuisse e arrivando a proibire al padre di andare ai seminari ( qualche padre tristemente accosentiva). Questo raro problema è diventato in alcuni casi molto più serio quando è iniziata la campagna mediatica di cui protagonista è stata Lorita Tinelli. Allora, si è tentato di scardinare le famiglie di Arkeon, di pompare direttamente le madri (e i padri) contro i figli, di entrare in giovani famiglie per imporre la visione della psicologa barese. Qui sì, si sono verificate situazioni decisamente pesanti

Ora so che, dopo queste dichiarazioni a favore di Arkeon da parte di qualcuno, segue rapida la rappresaglia. Rappresaglia che prende diverse forme. Ci sono stati interventi sui posti di lavoro, a quanto ho sentito. Grazie ad una fitta rete di connessioni e il silenzio irresponsabile di tanti, si colpiscono le famiglie nella loro intimità, come è accaduta alla famiglia passata su Striscia La Notiza (a severo monito degli altri perché, evidentemente, non hanno aderito alla campagna anti Arkeon) o a quelle passate a Terra!, oppure scatta un qualche nuovo articolo su giornali che non controllano nulla, o, finché funziona, scatta la censura.

Censura vuol dire far chiudere siti, blog, forum perché la propria versione sia l’unica disponibile.

Quindi, se scomparisse questo blog perché, oltre alle mie idee, parlo anche di Arkeon, esercitando un mio diritto costituzionalmente tutelato, poiché ci sono i precedenti (e ne cito solo uno), non dovrebbe essere difficile sapere, con buone probabilità, di chi è la responsabilità.

Per quanto riguarda Risé, qualcuno ha già scritto una frase chiave “Il dottor Risè capirà che le indagini e la Magistratura dovranno fare il loro corso”: le stesse cose che si dicevano alla Di Marzio  e per cui poi è stata incredibilmente indagata.

La più grande tristezza è che la montagna di cose senza senso, di cose non vere, di mistificazioni, di insulti e manipolazioni che è stata riversata nell’etere, sulla carta stampata e su Internet ha seppellito (non parlo dell’aspetto giudiziario che conosco poco) ogni possibilità di capire se veramente in Arkeon c’è stato qualche abuso e qualche errore. E di questo, nonostante l’abilità nel fare le vittime e le connessioni mediatiche, se ne stanno accorgendo in tanti.

Non so quale sarà la prossima mossa contro di me, sul blog o su altro terrenno, dei soliti noti.

Però, io dico basta. Non ne posso veramente più.

E dico anche che se questo può succedere e continuare in Italia, allora preferirei non essere italiano.

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