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Arkeon, la Roma e Lazio-Inter

Negli ultimi giorni è successo un fatto istruttivo, almeno per me: si tratta della partita di campionato tra Lazio ed Inter, e soprattutto della polemica che è seguita.

Subito dopo la partita, per chi l’ha seguita in viaggio come me, alla radio, i commenti sono stati pacati. La Lazio forse poteva fare di più, ma era evidente che mancasse la motivazione. Mancava certamente la motivazione ai tifosi, si diceva, anche dopo i recenti atteggiamenti di Francesco Totti.

Sempre alla radio, solo la mattina dopo, ho sentito montare la polemica. L’atmosfera, dopo una notte che avrebbe dovuto portare consiglio, era cambiata: era diventato uno scandalo, la Lazio non ci aveva neppure provato, ecc.. Strano però che in trasmissione fosse invitato solo un rappresentante della Roma. Nessuno dell’Inter o della Lazio.

I giornali online (ho monitorato il Corriere) poi hanno rilanciato solo le dichiarazioni (o quasi) a favore dello scandalo. Solo Moratti è riuscito a parlare.

Ma dite che non c’era nessuno che voleva ribattere? Ne dubito.

Solo in serata, del giorno dopo, il presidente della Lazio, Lotito, è riuscito a farsi ascoltare. Ha dovuto ritirare fuori una notizia di giorni prima, addirittura una minaccia d morte, perché la sua replica ci fosse e non parlasse solo la Roma.

Alla fine, a quanto mi riferiscono, montato lo scandalo, con l’intervento di vari polemisti di mestiere, la Roma ha avuto l’inchiesta.

Si dirà: è l’opinione pubblica.

Falso. Mi sono letto i commenti sul sito del Corriere e la stragrande maggioranza era di posizione opposta a quella espressa dai media. Cioè pensava che non ci fosse nessuno scandalo, nessun bisogno di fare un’inchiesta.

Si dirà che sono i giornalisti a voler montare le polemiche. Non ci credo più.

I giornalisti e gli esperti si sono accodati a quello che gli veniva chiesto, e non hanno fatto il loro mestiere. Ma sicuramente, invece, qualcuno del mestiere (PR?) sarà riuscito ad ottenere che vi fosse un solo ospite della Roma in radio. Qualcuno avrà parlato, agitato, telefonato: avrà i canali giusti per fare uscire gli articoli giusti. Naturalmente i giornalisti non si preoccupano di assicurare il diritto di replica.

Evidentemente la Roma ha le risorse economiche e i contatti giusti (per carità non fa nulla di illegale). La Lazio meno. Ma qualcuno, almeno, ha consigliato a Lotito di sparare grosso e gli ha permesso, attraverso vari contatti, di far uscire la sua replica. Intanto l’inchiesta però era partita. Ma senza almeno la forza della replica la cosa sarebbe stata molto peggiore, la Lazio avrebbe rischiato chissà cosa, squalifiche e quant’altro, specie se non fosse in grado di permettersi avvocati di livello sufficiente.

Ipotizzo che ci sia un altro Moggi? Non lo so. Dico solo che la mancanza di etica professionale dei giornalisti e la tendenza a seguire i trend suggeriti si combinano con le abilità di certi professionisti.

Cosa c’entra Arkeon? C’entra perché il meccanismo è lo stesso. Il giornalismo non esiste e segue solo quello che gli viene suggerito, senza neanche la decenza del diritto di replica. Poi ci sono i gruppi di interesse (come la Roma), le “vittime”, i contatti e le risorse per creare il caso. Poi seguono i media.

Benvenuti in Italia, AD 2010.

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Arkeon, distruggere chi non si allinea alla versione mediatica

Ho letto i bei post di Fioridiarancio e sto pian piano leggendo i contributi sugli altri blog (Klee, Riflessioni su Arkeon, ecc.).

Le ultime puntate della vicenda di Arkeon sono state sconvolgenti per la mancanza di un qualsiasi scrupolo da parte di chi le ha promosse e di chi le ha eseguite. Ma non sono sorprendenti.

Ormai da tempo ho compreso che, in pratica, il giornalismo in Italia non esiste. Non c’è una ricerca di obiettività, non c’è un minimo standard professionale ed etico, per esempio quello di sentire l’altra parte coinvolta. Il circo mediatico, gestito da “giornalisti” di carta stampata o televisione, amplifica solo quello che portatori di interesse ben introdotti gli servono bello che pronto, meglio se demagogicamente vendibile (e paghiamo le tasse per sostenere RAI e carta stampata?).

Non è sorprendente che si vada a colpire, con l’intento di annichilire, un sacerdote che giustamente Fioridiarancio definisce straordinario. Non sorprende che si mandino in chiaro i volti dei bambini in violazione di ogni etica e morale (e norma vigente). Non sorprende che si usino materiali che non dovrebbero poter essere diffusi. Non sorprende perché noi di Arkeon, noi che sappiamo la verità, non quella trascendentaale ma quella fattuale dei seminari, e non la rinneghiamo, siamo delle non-persone. Come in tutti i peggiori regimi, il nemico pubblico non ha umanità, né diritto, tantomeno di parola.

Non sorprende che si vadano a raccontare in televisione fatti che mi risultano totalmente inventati. Quando si inizia a non dire la verità e si vedono solo premi per questo (addirittura candidature politiche a quanto leggo), è chiaro che ci si cala sempre più nel ruolo della “vittima” o del “supertestimone”. Ci si gonfia. Tutto si può. E viene anche voglia di schiacciare chi in passato ci ha detto cose sgradite. Ora posso. L’ego, senza limiti, premiato proprio mentre tradisce le regole più sacre ed antiche, tra cui quella di dire la verità su questioni così importanti, odia sempre più di tutto quello che era limite al proprio narcisismo.

Non sorprende che si tradisca la fiducia e sincerità dei cerchi. Anzi, è solo l’inizio, se solo ne avranno la possibilità. Ci sono in gioco soldi, potere, carriere, riconoscimenti, e persone che, per questo, sembrano disposte a tutto.

Non mi stupisce che, guardandosi allo specchio, vogliano distruggere ogni traccia dell’innocenza cui hanno così drammaticamente rinunciato.

E lo fanno cercando di togliere per sempre la fiducia delle persone a poter raccontare di sè ai propri fratelli.

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Gaia Piccardi e il nuovo (?) giornalismo: medaglia d’oro o ragioniere?

Ho seguito qualche volta la giornalista del Corriere della Sera Gaia Piccardi. Pur essendomene formato un’opinione non positiva (magari sbagliando), mi sembra un esempio interessante (anche se deprimente) del giornalismo italiano del XXI secolo (forse anche del XX, ma allora leggevo con meno cautelai giornali).

Avevo seguito la Piccardi in un articolo su Arkeon, nei paginoni centrali del Corriere. L’articolo riportava cose che ritengo non rispondenti al vero, con un tono apocalittico/moralistico/scandalistico, privo, secondo me, di ogni sforzo di obiettività o di ricerca della verità. Insomma, si condiva generosamente la “vulgata” del Cesap di Lorita Tinelli su Arkeon con la retorica, senza neanche pensare di sentire l’altra parte o di approfondire o riflettere.

Ma questo forse è normale per la maggioranza dei giornalisti italiani. Quello in cui mi sembra eccellere la Picciardi, e credo sia un motivo per cui scrive sul Corriere, è che è bravissima a creare il sentimento del noi/loro. Da una parte, ci siamo noi lettori con la Piccardi, saggi, giusti, perbene, che possiamo con lei provare orrore o scandalizzarci per quegli esseri semi-umani che sono l’oggetto dell’articolo. Ci fa sentire a nostro agio, belli tronfi del nostro luogo comune, belli tranqulli che sono gli altri di cui scandalizzarsi, belli sazi che sappiamo già tutto, belli convinti che non siamo soli, ma siamo insieme a tanti altri – perché siamo diversi da quelli là.

La Piccardi questa sua tecnica (tale almeno nella mia lettura) la applica volentieri ad altre situazioni. Nei giorni scorsi, sul Corriere (non trovo il pezzo online), ce l’ha avuta con Jessica Rossi, a quanto pare, a 17 anni, la più giovane campionessa del mondo di tiro al volo, rea di aver deciso di mollare ragioneria per dedicarsi allo sport. Sarebbe Jessica Rossi (la “Calamity Jane de noantri”, secondo la Piccardi, che a me non suona come complimento) un esempio diffuso e tipico dell’Italia sportivo. La vicenda è quindi terreno ideale per fare del luogocomunismo e spendersi nella tecnica del noi/loro.

Infatti, mi sembra ragionevole supporre che la maggioranza dei lettori del Corriere sia istruita, e nello sport abbia combinato poco; forse anche di sport si interessa moderatamente, altrimenti leggerebbe la Gazzetta ed eviterebbe gli articoli moralistici della Picciardi. Niente di più gratificante, quindi, per i lettori del Corriere che sentirsi confortati nella propria superiorità, nel proprio aver scelto bene rispetto alla “Calamity Jane de noantri” che vincerà pure le Olimpiadi ma non sarà mai ragioniere.

E’facile eccepire che forse un diploma di maturità si ottiene anche a trent’anni, mentre le olimpiadi non si vincono nel tempo libero; e che forse vale la pena cambiare i propri programmi per ottenere un oro olimpico o anche solo per partecipare ai giochi (cosa non da poco), soprattutto se, come nel caso di Jessica, si sa di valere. Facile anche aggiungere che forse le prospettive occupazionali e reddituali come allenatore, ecc di una medaglia d’oro olimpica non sono esaltanti, ma probabilmente almeno comparabili a quelle di un ragioniere. Oppure che, se è vero come sostiene la Piccardi che molti atleti USA vanno al college, è anche vero che per molti lo studio è solo virtuale.

Con questo, non ritengo che si debba ignorare lo studio se si punta sullo sport: non si diventa tutti i campioni, lo studio non è solo prospettiva di guadagno, ma anche apertura di idee e dimensioni (e, ad essere monodimensionali, si rischiano brutte cadute). Ottimo aiutare a coniugare le due cose.

Ma torniamo a Gaia Piccardi. Immaginiamo che la Piccardi avesse scritto il contrario. Jessica Rossi (senza nessun “de noantri” anche se non è ragioniere) ha fatto una scelta rischiosa, in fondo appendere una medaglia olimpica al proprio muro può essere più importante che un diploma di ragioneria. Molti lettori, tra cui certamente ci sono tanti professori di vari ordini di scuole e pochi preparatori atletici, sarebbero inorriditi.

Credo che Gaia Piccardi sia veramente la giornalista del futuro (o dell’eterno presente italiano), da premiare come è accaduto. I giornali sono in mano al marketing che vuole vendere, siamo nell’era in cui l’importante è la notizia, poi i fatti si trovano, come dice Aldo Grasso. In questo clima, bisogna badare al mix dei lettori, bisogna compiacerli, non certo dargli fatti od opinioni che possono metterli a disagio, farli dubitare di sapere già tutto e di aver fatto le scelte giuste in un mondo che magari non è rassicurante ma che loro e la Gaia Piccardi conoscono a puntino e sanno interpretare.

Esulando dalla Piccardi (sulla quale, magari, leggendola più spesso cambierò idea), la mia personale opinione è che se i giornali non informano, impigriscono moraleggiando invece di stimolare l’opinione pubblica, allora non servono ad una democrazia liberale. Tanto vale togliere gli aiuti pubblici e lasciarli al loro destino. Anche perché il luogocomunismo tronfio, il noi/loro, il moralismo disinformato che cerca o piega i fatti per fare la morale hanno rovinato l’Italia da sempre.

PS: un caro amico di tanti anni fa mollò una promettente carriera sportiva – da grande promessa – perché il padre preferiva studiasse, studi in cui questo amico riusciva bene, ma non era certo una grande promessa. Mi sembrò uno spreco non necessario, ma forse avevo torto e il padre aveva visto più lontano. Sarei davvero curioso di sapere che ne pensa l’interessato a distanza di tanti anni

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Vuoi fare il giornalista? Vola via…

E’da un po’che rifletto sul giornalismo, e da questa riflessione è venuto fuori l’ultimo post. Pensavo che, se i figli mi manifestassero l’intenzione di fare quel mestiere, gli direi come minimo di dare per scontato di andare a lavorare all’estero (sperando in bene).

Grazie al blog di Alessandro, a questo proposito, ho scoperto poco fa un’intervista a Giampaolo Pansa su sussidiario.net, che parla (bene) del giornalismo nostrano, rispetto al Papa, ma non solo. Ne segnalo però qui tre stralci interessanti ( i grassetti sono miei):

Intervistatore: Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?

Pansa: Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa. Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.

poi:

“Interivstatore: Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?

Pansa: Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento. Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia.”

e ancora più sotto:

“Intervistatore: Alzano [i giornali]  il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?

Pansa: C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.”

L’intervista completa vale la pena di leggerla, ma trovo molti interessanti gli spunti, e triste la conclusione. Soprattutto se il Superman giornalistico dell’opinione pubblica è il Gabibbo di Striscia la Notizia.

Forse l’estero è meglio.

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Ma come si fa il giornalista?

Un giornalista serio per Arkeon?

Non ho mai fatto il giornalista per cui quello che so di quel mestiere l’ho più che altro letto sui libri o visto nei film.

Immagino che ci sia uno spunto, magari autonomo, magari un’indicazione del caporedattore, magari un lancio di agenzia, una fonte od un comunicato da approfondire. Il giornalista inizia poi ad approfondire (nel tempo che ha), a verificare la veridicità, a controllare i fatti, a vedere quali sono le interpretazioni magari discordanti, o cosa ne pensa l’altra parte (c’è un’altra parte in quasi tutte le cose), e, poi, si domanda come rendere interessante il pezzo, magari tenendo conto della linea editoriale del giornale.

Vent’anni fa, la verifica dei fatti doveva essere difficoltosa, come probabilmente lo è oggi quando vieni a sapere qualcosa confusamente in un ospedale ed è difficile controllare i dettagli anagrafici. Però, quando si può spendere un’oretta al proprio computer, Google ed Internet credo che siano una rivoluzione, oltre immagino ai database riservati. Poi, certo, per essere più di un blogger, credo che il giornalista alzerebbe anche il telefono, oltre all’e-mail per verificare, sapere, sondare.

Sulla base di tutto quello che ha saputo, costruisce l’articolo, magari anche con una tesi forte, ma con un uso attento del condizionale rispetto all’indicativo, di avverbi, per qualificare bene ipotesi da fatti, virgolettato da riferito, ogni cosa attribuibile ad una fonte, i dubbi più ovvi discussi.

Con desolazione ho scoperto negli ultimi anni che questo, dove ho potuto verificare personalmente i fatti, non accade. Non so perché, ma è evidente che non viene neanche mosso il ditino sulla tastiera e, se viene mosso, comunque non è importante rispetto alla fonte primaria, che non ha alcun bisogno di verifiche.

La desolazione è grande, e non riguarda solo l’Italia. Diventa sempre più difficile proprio capire cosa è successo, qual’è il fatto; il giornalismo critico ed attento, che non usa il pretesto della carta stampata solo per portare avanti una tesi, non lo vedo.

Ho iniziato a leggere con interesse i quotidiani online, alcuni blog, e ogni tanto direttamente i lanci di agenzia. Mi sembra che i giornalisti non diano più alcun valore aggiunto al lancio d’agenzia (che, è vero, può essere esso stesso manipolatore e di bassa lega) perché non mi aspetto che ci sia nessun approfondimento, nessun controllo, ma solo una manipolazione ad hoc. Allora preferisco leggere persone intelligenti o giornali online con poche risorse, perché dei fatti ne sapranno quanto me, ma almeno hanno più acume del mio.

Perché è accaduto questo (ammesso che non sia sempre stato così) non lo so. Deve essere anche perché il giornalista che scrive una stronzata non è deriso dai colleghi. Oppure ripreso dal caporedattore o licenziato dall’editore.

E’un trend come tanti, se non che, senza una stampa seria, la libertà di tutti soffre.

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