Chi ha frequentato i seminari di Arkeon (e non ha desiderio di vendetta o appetito di risarcimenti) ricorderà con commozione il Padre Nostro in latino cantato da Giovanni Paolo II. Per molti sarà anche il ricordo di un momento straordinario di incontro con il proprio padre o con il proprio fratello, o con un amico, o con gli uomini. Non ci rendevamo conto allora di quanto unica e privilegiata fosse quella possibilità di incontro degli uomini, e come facilmente e crudelmente potesse essere spezzata.
Ancora più caro e commosso quindi il ricordo.
Non dimenticherò mai queste parole, e la voce che le pronuncia:
“Tu sei mio Figlio. Io oggi ti ho generato. Io gli sarò Padre, egli mi sarà Figlio. Sono parole profetiche. Esse parlano di Dio che è Padre nel senso più autentico ed alto del termine.
Dice Isaia: tu sei nostro Padre. Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma. Tutti noi siamo opera delle tue mani
Sion ha detto: “il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Si dimentica forse una donna del suo bambino? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti abbandonerò mai.
E’significativo che nei brani del profeta Isaia la paternità di Dio si arrichisca di connotazioni che si ispirano alla maternità.
Gesù annunzia molte volte la paternità di Dio nei riguardi degli uomini, riallacciandosi alle numerose espressioni contenute nell’Antico Testamento. Per Gesù Dio non è solo il Padre di Israele, il Padre degli uomini, ma il Padre Suo, il Padre mio.
Pater noster qui es in coelis…”
(Giovanni Paolo II)
Torno con il pensiero a queste parole perché, avendole ascoltate quasi per caso, mi sono accorto che avevano un effetto meno profondo del solito. A pensarci bene, non mi fidavo, non mi affidavo alle parole di Giovanni Paolo II; le ascoltavo, anzi, quasi con scetticismo.
Non mi è stato facile capire il perché. Nella campagna contro la Chiesa degli ultimi tempi, soprattutto negli Stati Uniti, si è assistito ad un coinvogimento della figura di Giovanni Paolo II, il quale, al contrario, almeno in parte, di Benedetto XVI, avrebbe “coperto”, “insabbiato” vari casi di abusi.
Non mi interessa discutere se questo sia vero o meno. Ma mi sembra evidente che tutto ruoti sull’energia che è stata messa in questa – sacrosanta e necessaria – battaglia, non certo su complicità o peggio ancora.
Quello che mi interessa è invece l’effetto dirompente che questo ha sulla percezione, anche in una persona molto critica verso questo giornalismo “progressista” come me, di un uomo eccezionale come Giovanni Paolo II. O, forse meglio, della figura simbolica che egli rappresentava (e rappresenta) per me.
Non credo peraltro che questo attacco a Giovanni Paolo II sia casuale, ma che ci sia l’obiettivo di distruggere la memoria di una figura carismatica, di un Santo che tale era anche agli occhi di tanti – soprattutto giovani – che sono tiepidi nei confronti della Chiesa in generale.
Più profondamente, si tratta di distruggere la fede che ci possa essere un uomo giusto, pulito e buono, realmente dedito agli altri e a Dio, che non sia mosso solo delle umane bassezze. In fondo, l’obiettivo è di portare tutti a credere che la pulizia interiore, l’eroismo non esiste ed è inutile cercarlo.
Chi è passato da Arkeon sa di cosa sto parlando. Per me questa è la demolizione della figura del Padre, o comunque degli antenati maschili. Si cerca il difetto, l’errore che metta una distanza, una diffidenza del figlio verso il padre. Ove, naturalmente, il padre (terreno) non può essere perfetto; anzi. Ma la necessaria comprensione dei limiti del Padre è tragica se invece diventa separazione dall’amore e dall’identità paterna. Ed è proprio questo che interessa: il figlio lontano, nel cuore, dal padre è senza fede, senza forza, senza amore e facilmente manipolabile.
Ma perchè? Credo davvero che, come si diceva, l’obiettivo sia il potere.
E il pensiero va, come in apertura, a chi, grazie a varie complicità, ha dimostrato di avere tanto potere da sovvertire completamente i fatti nella vicenda di Arkeon. Potere che mira solo ad aumentare.