Come sempre in maniera intelligente ed originale, Claudio Risé ha scritto di recente un articolo su adolescenti e sessualità, soprattutto in rapporto alla violenza e alla mancanza di educazione alla sessualità. Educazione alla sessualità che moderi la sua natura primordiale e la inquadri nel rispetto della persona.
Vorrei aggiungere un’altra prospettiva cui ho accennato in un commento all’articolo di Risé.
Ho l’impressione, con altri, che sugli adolescenti si scarichi una corrente erotica e frustrata presente nella nostra società. Penso che sia in una qualche misura un fenomeno di sempre, ma, secondo me, da un po’di tempo l’età delle modelle e anche la comunicazione pubblicitaria sembra scivolare maggiormente verso l’adolescenza (e prima). Si tratta di un trend che si osserva da anni, sicuramente, ma non per questo trascurabile.
A mio avviso questo trend si spiega con un elemento fondamentale. La sessualità, sotto la pregnante realtà del piacere fisico, è anche una ricerca di innocenza e la nostra società sempre meno innocente trova nell’adolescenza, per quanto essa stessa aggressiva, un’innocenza di cui nutrirsi.
Osservo quindi sulle spiagge italiane una nudità sempre maggiore, soprattutto da parte degli adolescenti, su cui è facile fare del moralismo. Quella della vita bassa – nei ragazzi – che lascia in vista vari boxer Calvin Klein non è moda di adesso, ma che per ora non passa. Una cosa analoga succede alle ragazze con lo stile ispirato alle Winks. C’è un trend collettivo verso un sempre maggiore svestimento degli adolescenti e una loro sessualizzazione.
Come dicevo, credo che da una parte vi sia una richiesta da parte della società di eros che gli adolescenti, bombardati dalla pubblicità e dalla comunicazione, soddisfano. Ma, in questo svestimento, c’è anche la risposta degli adolescenti che consiste nello spostare l’attenzione dagli occhi, dal viso, dall’anima, al corpo. E quindi, nella scelta volontaria di mostrare il proprio corpo, in parti sempre più intime (la vita bassa come il sedere più o meno scoperto), c’è anche una difesa, dove lo sguardo dell’altro deve andare al corpo per non violare l’intimità che ci sarebbe nello sguardo. Sospetto che anche dietro ai piercing spesso ci sia una strategia inconscia simile: far distogliere lo sguardo per nascondersi, come anche sfidare l’altro per vedere come si comporta davanti alle apparenze sgradevoli (il piercing). O per rendersi piacevoli solo ai propri simili.
Immagino dunque che, partendo dalla tradizione degli arabi, il velo, non il burka che è qualcosa di diverso, vada letto anche come estrema risposta al tentativo di fisicizzare l’altro, come costringere l’altro a parlare con gli occhi, che sono lo specchio dell’anima, invece che a cercare il corpo.
Forse alla fine, l’adolescente di oggi davanti alla persona che ama non si sveste, si veste.
Perché, in fondo, nell’incontro con lei (o con lui), quanto più intimo esso è, voglio incontrare l’anima, mentre il corpo è “solo” uno straordinario e meraviglioso tramite.