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L’educazione alla giustizia al tempo dell’ingiustizia

Oggi come trent’anni fa. La società continua a non vedere nella legalità un valore

Umberto Ambrosoli

Sono queste alcune delle parole pesanti di Umberto Ambrosoli, riprese dal Corriere. Umberto è autore di un libro da poco pubblicato, ma è anche il figlio terzogenito di quel Giorgio Ambrosoli che fu ammazzato per aver fatto il proprio dovere di liquidatore della Banca di Sindona.

Non ho letto il libro, ma, da quel che intuisco, è la straordinaria testimonianza di un padre e di un figlio, normali nel reciproco, profondissimo affetto, ma straordinariamente e straziantemente divisi dalla morte.

Del padre, Umberto parla così: è “un uomo che, come tanti, conduceva una vita normale, aveva una bella famiglia che amava molto, credeva nel significato e nel valore della propria libertà e responsabilità. Quest’uomo era mio papà

La motivazione del libro è quella di raccontare ai propri figli, ai nipoti di Giorgio, chi era il nonno. E, sospetto, anche di raccontarlo di nuovo a se stesso. Per un figlio, queste storie non annoiano mai ed anzi danno sempre nuova vita.

Di che pasta era fatto il padre lo si capisce da una frase detta da Giorgio a sua moglie, alla futura vedova: “Qualunque cosa succeda tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali abbiamo creduto“.

Oltre alla grande fiducia nella compagna, che trovo tipica di tanti uomini grandi, mi sembra un messaggio di forza e di speranza, di quella paternità sana che ho visto anche nei miei percorsi, e di quei figli che, seppure attraverso prove meno tragiche, hanno saputo trovare il valore dei propri padri.

Di forza e speranza, di impegno anche nell’educare i figli in certi valori anche quando sembra che questi valori siano perdenti.

Mi sono posto la domanda quasi seriamente, nello sperimentare un trionfare della menzogna e dell’ingiustizia, se si possa, se si debba continuare ad educare i figli nella giustizia. O è meglio la furbizia, la convenienza, il chinare il capo, il mentire pur di venirne fuori o ancora la complicità con il vincente?

Siamo esseri umani e l’esempio di Giorgio Ambrosoli non è forse alla portata di tutti.

M’insegna però due cose che valgono per tutti: la prima è che la giustizia è così difficile da perseguire per colpa di malintenzionati, ma anche di tanti indifferenti; la seconda è che i figli vanno comunque cresciuti nei “valori in cui abbiamo creduto”. Perché una famiglia fondata sull’amore non può fare a meno della giustizia.

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AIDS e preservativi: parliamo dell’Africa, o di noi?

E ‘evidente che abbiamo bisogno di fare dei veri progressi contro gli elementi trainanti di questa epidemia [Ndr, quella dell’AIDS], in particolare la disuguaglianza dei generi, la stigmatizzazione e la discriminazione [Ndr, di sieropositivi e ammalati], la povertà, e l’incapacità di attuare e proteggere i diritti umani. Questa è forse la sfida più grande per rispondere all’AIDS. Non ci può essere una soluzione tecnologica per le questioni sociali. Abbiamo bisogno di un cambiamento sociale – e tutti noi che lottiamo contro l’AIDS dobbiamo essere disposti a sostenere questo cambiamento. Sono sempre più convinto che da sola, l’espansione dei programmi, o fare di più, anche molto di più, non fermerà l’epidemia

Forse dall’assenza della parola preservativo, avrete capito che chi parla non è il Papa, ma il Direttore del Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (UNAIDS), il programma delle Nazioni Unite contro l’AIDS, Peter Piot, nel 2006.

Mi sembra di non azzardarmi troppo nel dire che, come il Papa, anche Piot pensa che non basta aumentare i programmi (i soldi comunque non sufficienti di cui ha parlato il Papa), ma che bisogna lavorare sugli elementi trainanti (il Papa ha parlato, in maniera più pregnante, di anima). Per programmi credo che si intenda anche la distribuzione di preservativi.

Lo stigma e la discriminazione di sieropositivi ed ammalati di Piot mi sembrano gli aspetti cui il Papa vorrebbe oppporre una “vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti. Dietro la diseguaglianza dei generi, come soluzione, vedo chiaramente le parole del Papa “umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro“, con la differenza che il discorso del Papa è più profondo. Mi sembra, fra l’altro, questo tema dell’umanizzazione della sessualità, del “dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro” sia di grande attualità anche da noi.

A parte l’importanza del ruolo della Chiesa cattolica, tra i due, resta una frase problematica pronunciata dal Papa “se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema”. Qui c’è un evidente contrasto con quanto afferma la citata UNAIDS, perché quest’ultima dice chiaramente che i preservativi funzionano anche se altrettanto chiaramente dice che devono essere incorporati in una strategia complessiva, e che altri elementi hanno un ruolo.

Sempre UNAIDS, infatti, parla dell’ABC (Astinenza, cioè evitare i più giovani ad avere rapporti sessuali solo quando sono emotivamente pronti ad affrontarli; Being faithful, cioè essere fedeli; Condom preservativi), cosa che – salvo i condom – di nuovo ci porta vicino a quanto dice il Papa.

Mi sembra quindi che ci sia un certo consenso che distribuire i preservativi da solo non funziona, anche perché essi prevengono l’AIDS solo se usati costantemente.

Non ho trovato che i preservativi aumentano il problema, questo no (anche se ho cercato poco) e continuo a pensare che, anche se risolvessero solo parte del problema, varrebbe comunque la pena promuoverne l’uso. Ma non riesco a non essere d’accordo con il Papa, come del resto con le fonti che ho visto, che il problema è, anche solo dal punto di vista pratico, più profondo. Anche con i preservativi, il vero lavoro è dare alle persone la forza psichica di usarli.

Dalla polemica di questi giorni, mi viene però il dubbio che si stia parlando (anche) d’altro.

Ho letto che sarebbero i giornalisti anglosassoni per alcune questioni legate all’Africa ad avercela con il Papa. Può darsi, la stampa inglese ed americana, in buona parte, è contro i papisti e il cattolicesimo quasi da sempre, in un modo a volte irritante.

Però sospetto che la vera discussione sia sull’approccio al sesso nella nostra società, non in quella africana. Sospetto che il timore sia parlare di astinenza (che poi vuol dire avere i primi rapporti sessuali più tardi) e fedeltà, o meglio di avere un diverso rapporto con il sesso, non agli africani, ma qui da noi – in Italia ed Europa. Anche in Italia si propongono programmi ABC, ma continua a sembrarmi un discorso controcorrente.

E con questo -a quello che so oggi – sono per il preservativo, quando serve, e per le campagne che lo propongono se è utile. Servisse a salvare anche una sola persona.

Ecco comunque sotto il testo dello scandalo. Sotto la parte clou.

“DomandaSantità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?

Papa – Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.”

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La mia festa del papà

Oggi è anche la mia festa. Come è altrettanto vero che è la festa di milioni di altri papà in Italia, e miliardi se consideriamo il mondo. E’la nostra festa, come è quella dei nostri padri. Perché anche se si diventa padri e uomini, si è sempre anche figli.

Si polemizza tanto sulle feste del papà, della mamma, cui più recentemente si sono aggiunte le feste della donna, dei nonni e forse altre di cui non tengo conto. Facile rilevare la perdita del carattere religioso e la progressiva commercializzazione. Allo stesso tempo, io credo che queste festività ritornano perché serve all’essere umano celebrare queste parti dell’esperienza umana. Erano presenti già prima del cristianesimo; ne abbiamo bisogno ancora. Semmai, la riflessione è perché questo profondo richiamo alla sacralità non riesca più ad essere soddisfatto dal cristianesimo e, soprattutto, se le attuali forme celebrative rispondano a questa necessità dell’anima.

Personalmente, nella vita di oggi, anche se sono festeggiato nella mia famiglia e ho, come ho potuto, festeggiato mio padre, sento che c’è molto che manca. Manca lo spazio e il tempo per stare con mio padre, e con tutto quello che mio padre vuole dire per me. C’è poco tempo per permettere ai figli di festeggiare il loro padre, che sarei poi io. Manca ovviamente anche il luogo per stare, semplicemente, con altri padri.

Però, la gioia è grande. Per i figli diventare papà o mamma è un grande obiettivo, un futuro bello e comprensibile. Quindi la festa è sentita.

Io, dentro di me, sento anche quanto diverso sia stare al posto del festeggiato oggi rispetto al mio compleanno. Oggi non si festeggia me nella mia totalità ed invididualità, ma una straordinaria parte della mia esperienza umana, che è intimamente mia, ma è anche condivisa con mio padre e con i padri di oggi e di sempre. Allo stesso tempo, lo scambio d’affetto con mio padre mi fa inchinare interiormente il capo per ricevere la sua benedizione.

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