Nel 1977, un uomo americano, presumibilmente un padre di famiglia, guadagnava 45878 dollari all’anno (mi riferisco al reddito mediano in termini reali rispetto al 2007). Trent’anni dopo, suo figlio, in termini reali, guadagna più o meno la stessa cifra (anzi un po’di meno, 45113 dollari).
Eppure l’America è oggi un paese molto più ricco, in termini reali, e anche più caro. Dove sono finiti i soldi? Praticamente tutti nelle tasche dei più ricchi, secondo gli economisti. Questo però è l’aspetto che qui mi interessa meno.
Trovo più interessante chiedersi come ha fatto la famiglia americana a rispondere a questa situazione. Sempre secondo gli economisti, ha risposto in due modi: facendo debiti e facendo lavorare le donne, che oggi lavorano di più e guadagnano di più.
La crisi dei debiti partita nel 2008 è quindi anche la crisi della famiglia americana che non ce la fa più, non riesce più a sostenere la macchina di Wall Street.
A livello sociale, poi, non c’è dubbio che quello che è oggi il nonno americano vivesse una condizione di maggiore solidità psicologica, mentre il figlio sa ormai che a mantenere la famiglia, da solo, non ce la può fare (e lo sanno, credo, i tanti padri separati anche in Italia).
Più in generale, è interessante notare che la grande crescita economica di questo trentennio, almeno in USA, è stato contro la grande maggioranza delle famiglie, se si pensa che la famiglia richieda cure e tempo.
Sia che si pensi che la mamma a casa serve, sia che si pensi che è meglio dividersi i compiti, il dato di fatto è che, dovendo lavorare in due, il tempo per crescere i figli si è dimezzato. Non solo infatti il tempo per cucinare, per godersi il tempo insieme, ma quello per crescere i figli, per non fargli vedere troppa TV. Anche il tempo per assistere i propri genitori anziani o dei sofferenti in famiglia. Anche i soldi scarseggiano, e i soldi servono per accudire un caro malato o un anziano non più autosufficiente.
Con la tendenza ad innalzare l’età pensionabile, si sottraggono anche le ore dei nonni ai nipoti. Insomma, la crescita economica, almeno negli USA, si fa a spese dei genitori (o di gran parte dei genitori), ma di conseguenza dei figli, degli anziani e degli ammalati.
Mi permetto peraltro di domandarmi se la spinta alla donna che deve lavorare a tutti i costi per realizzarsi sia sempre la causa dell’aumento dell’occupazione femminile, o se talvolta è la necessità a creare questa spinta, e il movimento della mamma che lavora a tutti i costi non sia funzionale ad un certo sviluppo produttivo.
Su tutt’altro piano, mi chiedo anche se la spinta alla procreazione sempre più controllata, dai risultati garantiti e solo al momento giusto e ai vari testamenti biologici per gli ammalati, che spesso soffrono più di solitudine che di dolore, se le conseguenze estreme della solitudine adolescenziale siano fenomeni del tutto indipendenti, o se anch’essi siano le resa di famiglie che non hanno più tempo.
Non sono un marxista di ritorno. Credo nella libertà di impresa, nella vitalità dell’impresa privata e anche nel premiare chi merita. Penso che i grandi ricchi spesso sono quelli che hanno saputo produrre tanto. Penso anche che la volontà politica non possa stravolgere la realtà economica.
Ma credo che sia necessaria una riflessione, perché il prezzo sociale mi inizia a sembrare troppo alto.
In parte ritengo che stiamo assistendo alla redistribuzione delle ricchezze nel pianeta, stiamo facendo posto ai cinesi. Mi domandavo come sarebbe accaduto. Ora inizio a capire: ci si ritrova pian piano più poveri, a faticare di più per avere sempre meno. Nessuno mi sembra ne parli apertamente, come di prospettiva inevitabile.
Forse, però, possiamo fare qualcosa perché almeno le nostre famiglie restino più povere, ma in piedi. E penso di nuovo a John Bowlby e alla sua affermazione.